venerdì 17 ottobre 2014

Manhattan

New York è la spietata tritacarne
seducente e sfacciata
che agita uomini come elettroni
e attrae mosche, simile a miele,
su finestre impassibili
a impadronirsi di finte altezze.

Che farsa! Sono tutti piccoli punti
nel bosco delle sue ombre d'acciaio!
Così scintillanti
che i fondatori suoi si prostrerebbero
di fronte a questo nulla esorbitante,
in cui morire o salire su un volo
sono la medesima cosa:
irrilevanza.

Ci son stato qualche anno fa
ma pure in una vita precedente:
fui più stupito dai taxi di Roma
la prima volta che li vidi davanti,
che dalle file di scatole gialle
parcheggiate in salotto.

Ho inseguito il sole per raggiungere
questa città totale,
ciò rende le sue guglie più irreali
e la sua isola sogno;
la sola Broadway ha tante comparse
che potrei ora perdere me stesso
e Manhattan è una combinazione
infinita d'incroci,
coi ponti che evitano la deriva
di milioni di esserini urbani.

Io partirei comunque
sono emancipato dal bisogno
di nascondere in vuoti pirotecnici
la mia precarietà,
ma urlano ovunque le sirene
di questa polizia
che mi chiama per nome
per non farmi andar via.

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