Mi spengo chiuso in casa
dove non c'è dolore,
ho meritato il nulla
questa realtà statica:
l'uccello nella gabbia
sta adunco e non fischietta,
metto in frigo la rabbia,
brucia la sigaretta,
affondo in un caffè
e curo fiori finti,
ma la mia anima aspetta
di vederti ancora.
Apro la doccia e mi levo di dosso
l'impressione di non appartenere
che a una tana in malora:
ho bisogno di giacere,
di irridere il calendario.
Mentre il tempo disperde ogni spora
faccio sogni leggiadri:
il tuo spazio di estuario
consola la mia mente
di trenta metri quadri.
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