martedì 2 febbraio 2010

DNA e poesia: Queneau

Acido desossiribonucleico, DNA. La Piccola cosmogonia portatile di Raymond Queneau è più una sequenza cromosomica, piuttosto che una serie di versi alessandrini raccolti in sei canti. È la presunzione - espressa comunque con la dovuta e intelligente prudenza dell’ironia - di aver scoperto il DNA poetico della creazione della Terra, matrice dello sviluppo della vita su di essa, che rappresenta appunto il più “animato” dei suoi caratteri manifesti. D’accordo, i segni archifonèmici sono quelli propri della langue (e costuiscono un'incredibile varietà di giochi sonori), ma i contenuti, per quel che riguarda l’aspetto lessicale (i segni che costruiscono la parole e indirizzano la decodifica del lettore), sono il vero elemento d’innovazione.
I soggetti sono perlopiù tratti dalla varietà della scienza e filtrati attraverso una praticabilità letteraria. Queneau ammette di non voler decantare ai quattro venti nessuna sorta di verità scientifica, di certo non è questo il compito di un poeta, solo si prodiga per aggiornare i temi alla propria epoca. Così metafore splendide e squisitamente umanistiche come il parto della Luna dal grembo della Terra, appaiono in una torma di riferimenti alla biologia, alle specie animali e alla catena alimentare, e alle varietà degli elementi atomici, alle invenzioni dell’ingegno umano ed ai suoi studi, fino ad un darwinismo creativo che vede l’uomo come l’anello necessario alla natura per scoprire l'atomo e addentrare la terra verso l’era della tecnologia, l’era in cui la massima evoluzione della vita deriverà dalla macchina, detto grezzamente, “come noi dalla scimmia”.

(VI, 1-2)

Le singe sans effort le singe devint homme
Lequel un peu plus tard désagrégea l’atome


Riporto un tratto della traduzione di Sergio Solmi (dell'RNA, si potrebbe dire), che ha reso il testo francese in endecasillabi sciolti. Queneau si rivolge a Ermes, nume della classicità che presiede alla retorica e lui interviene direttamente, e si dimostra benevolmente disposto per l’autore ed il suo progetto, ben più ardito di quando Montale se l’era presa con la scelta delle piante dei «poeti laureati»:

(III, 89-105)

Nonostante la lor mancanza di
rispetto verso lui noi spiegheremo
ai lettori francesi il suo benevolo
piano: perché al posto del ranuncolo
oppure del vilucchio ha preso il calcio
e l’alveolo dell’ape. Avete ben
capito? Perché in luogo di panchina
o luna in primavera egli la cellula
ha preso, e la funzione del fenolo.
Capito? Al posto della morte, degli
antenati, e dei pargoli ha preso
un vulcano, oppur Regolo e anche Algol.
In luogo di paragonar ragazze
a rose, e tutti i loro ghiribizzi
a petali che spargonsi nell’aria,
in ogni scienza egli veda un registro
bollente. E le parole gonfieranno
del succo d’ogni cosa e della linfa
sapïente, nonché del dottor lattice.
Di fiordalisi e di margherite parlasi,
e perché no dell’ossido d’uranio?
Si parla della fronte e pur degli occhi,
del naso e della bocca, e perché no
di cromosomi? […]


Dicevo sopra, l’elettrone è uno dei sostantivi utilizzati. La cosa più piccola di cui si potesse scrivere negli anni ’40. L’universo nascosto in meno di una punta di spillo è poetico quanto un universo sconfinato. Da poco si era scoperta l’imponenza distruttiva dell’atomo (la Piccola cosmogonia è stata pubblicata la prima volta nel 1950). Si capisce quanto l’occhio poetico di Queneau fosse focalizzato nel presente per interpretare il futuro, un occhio che si stupisce della realtà attraverso le lenti del microscopio. Inoltre, è di certo foriera di progresso un’arte che - oltre a celebrarne l’incessante cammino e a nutrirsi di materia prima enciclopedica - utilizza come soggetto l’infinitamente piccolo. E non tragga in inganno quest’aggettivo, l’avverbio indefinito che lo precede è un moltiplicatore infinitamente grande. Lo stesso Leopardi non saprebbe trovare nulla di più “vago e indefinito” di ciò che l’uomo può scorgere oggi oltre la siepe del futuro, con la miriade di possibilità che la scienza e la tecnica gli ha aperto.
Bisogna dire che a suo modo Queneau è stato un precursore, nel suo profetizzare l’avvento dell’era delle macchine, ed ha impedito che la poesia si attardasse intorno al noioso ripetersi dei suoi tòpoi. In effetti alla base dell’odierno mondo globale della comunicazione, di internet e dei computer, non c’è altro che l’elettricità che ha imparato a parlare, aprendo l’epoca del linguaggio del codice binario. Quello che ora voi state leggendo sotto sotto è un moltiplicarsi incessante di 0 e 1. Chissà che in un futuro non molto lontano, come accade in molta fantascienza (pensate ad Al 9000, il megacervello di 2001 odissea nello spazio che ha paura della morte) al contrario che in poesia dove ne vedo per la prima volta cenno, le macchine possano avvicinarsi anche a qualcosa di simile ad un modello di coscienza.
E pensare che ancora nel nostro presente c’è chi vorrebbe escludere la teoria dell’evoluzione dai programmi scolastici, quando io, con i miei maldestri tentativi, spero di smascherarne una, se mai c’è, perfino nella poesia.
Cos’ha in serbo per il futuro il DNA della Terra e della poesia?
Scrivo questo post a due giorni dall’annuncio, dato da un privato ricercatore statunitense, Craig Ventre, che l’uomo sarebbe in grado di riprodurre sinteticamente un cromosoma ed inserirlo in una cellula attraverso un batterio. Magari tra cento anni ad ogni aminoacido corrisponderà, piuttosto che un terzetto, una terzina

08/10/2007

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