Con quanta fretta
te ne sei andata.
Come lo scatto che spegne la lampada.
Dammi una sigaretta – poi, m’hai detto.
Bianca brillava la tua pelle elettrica benché offesa dal mio fumare di uomo.
Disperato – io - disfatto. La tua assenza
fu abisso di spasmi che chiamai “chiesa”.
Un decaduto apostata d’amore, un vile infilato in infime tane.
Inutile inquilino è un dio dolore
per la finestra invaso dai silenzi:
il salotto sta muto, il letto zitto, la tempia tutta nell’orologio orrido.
Simili a lame i miei libri allineati,
nessun odore ne impregna le pagine.
La pioggia inesistente ricolma una speranza di grondaie.
La palazzina pesa col suo niente s’uno sciame di lacrime e capelli,
compagna e cagna del mio nulla nubile.
Io - di fatto - fischietto una presenza, questo tipo di non-tu. La catarsi
fata mia è finita, direi: A mai più.
Potrei essere eroe del sorriso, e senza
Bere! Solo, nello specchio. GUARDARSI,
per trovarvi occhi davvero aderenti
ai concetti ch’avevi intorno ai 20:
anni di volontà ludiche e nude,
anni di sillabe fagocitanti
dai futuri infiniti, con la mente su ogni male di tenero calore.
È accaduto, ho perduto un’esistenza.
Voglio una sigaretta.
Vedi alla voce: “ex-fiore”.
Vado di nuovo a capo,
ma senza fretta.
24/03/2008
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