
Frida è una bimba buona,
ride e gioca in giardino, raccoglie dei fiori,
poi li posa sopra le orecchie del suo dobermann.
Quando canta l’angelo ingenuo il cane ringhia,
ché lui vede attraverso il vetro del futuro:
ed oltre il muro, centinaia di pederasti,
sovrapprodùcono quintali di sperma acido.
Che non feconda più l’utero della terra,
ma corre in tubi di banche aride di ortiche,
com’è l’onanismo itterico ed economico,
che ammala le cicatrici fino alla foce.
Le bocche ci vomitano, di fango e pece
si bagnano i seni di madri in favelas
costrette come insetti. E Frida è piccola e rosa
- risplende un sole giallo in neon sulla sua casa -
e il dobermann saliva simile a petrolio,
ché spreme nel cervello le ossa del mercato.
Grida di cravatte dai grattacieli:
«Decostruiamo il mondo» in metallo arrugginito
«e strappiamogli di dosso le sue biomasse,
che assomigliano a liquami, a liquidi e sangue
che si creano e corrodono tutta la terra.»
Sebo riposa sull’erba come rugiada
distesa al suolo, nuovo di petali e acciaio,
e schiaccia l’aria come del sudore nero,
ci getta fumo di feci da lunghe fabbriche.
Così ora le applaudono con grandi valanghe
- già! quelle creature di nebbia così solide –
gli adoratori dél neodolore dell’euro,
gli irrazionali servi dei denti del dollaro.
C’erano le stelle che bruciavano zolfo
questa notte, e ciminiere malate sotto,
con le loro unghie di ghiaccio, e lamine fredde
aspettavano l’altoforno del mattino;
ma il sole ride, con mille lingue di muco
si è ribellato e bercia sarcastico Morte!,
a tutti quanti gli uomini umide formiche,
rifugiati entro i rifiuti dei formicai
come in una catastrofe.
Questa poesia è stata scritta per una mostra allestita a Fabriano (dal 1 aprile 2007) in occasione di una iniziativa sulla Decrescita, ovvero la corrente per una "decolonizzazione" dal pensiero economico capitalista che si pone oltre il concetto di sviluppo sostenibile. La poesia era esposta insieme al disegno di un dobermann come scarabocchiato dalle mani di una bambina. Una cosa è certa, la questione ambientale non è più rinviabile. A livello metrico, ho optato per una struttura costituita soprattutto di versi lunghi a tredici sillabe, per avvicinarsi a un ritmo narrativo, ovvero: sfumato verso la prosa. Nel finale la poesia si scioglie nella filastrocca del settenario.
25/04/2007
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