lunedì 8 febbraio 2010

Lorenzo Neri a Dite (II)

Riassunto: Il nostro eroe improvvisamente perde coscienza e trova tutto buio intorno a sè. Riprende conoscenza con il soccorso di Giovanni l'evangelista, il quale gli lascia intendere che questo è solo l'inizio dell'Apocalisse, e dice al protagonosta di seguirlo fino alla porta dell'inferno, che ora è diventata un enorme squarcio a cielo aperto nei pressi di Gerusalemme...

Vidi la bocca della terra aperta

e tra i suoi denti avevo il terrore
che, col fiato di fuoco, la coperta
dentro l’averno mi rubasse il cuore.
Giovanni m’indicò il suo vero nome:
«Ecco il pozzo, l’abisso del dolore,
è la città di Dite, o Inferno come
lo chiamate voi vivi». Che visione
le pareti infiammate nell’addome
dove attende la gran disperazione.
E aggiunse: «Ecco gl’ignavi, da qui quelli
fuggono, ma non hanno direzione
e i demoni ne fanno dei brandelli».
Ma più che loro senza volto in viso,
colpiti come da mille coltelli,
mi prese l’incubo d’amianto intriso:
il budello malefico sembrava
una gigante fucina, e già diviso
come vibrante frenesia cantava
il metallo, la guerra e gl’irti rostri;
più avanti l’Acheronte che colava
simile a bava marronastra. Ai nostri
occhi ecco una gran vampa di lapilli
schizzare accanto a una torma di mostri,
da crateri a lato, e uomini grilli
grigi, schiacciati all’ossa di dannati.
Non si poteva stare mai tranquilli
cadendo là, lava coi conati
mi avrebbe poi inghiottito in mille lingue,
bruciandomi di vomiti infuocati.
Un fumo nero di carboni pingue
è il fiato degli inferi, e ha il fetore
marcio di morte viva come sangue.
Un brivido bollente era l’umore
di quel budello di rossa saliva:
non tremava la terra che il terrore
che là dai buchi e dalle crepe usciva.
Giovanni all’improvviso mi chiamò
dicendomi: «Tu scostati!» Veniva
verso di noi un gruppo di demoni o
di volatili enormi. Io andai più dietro,
il santo invece gli si avvicinò:
«Lurido Malacoda, resta indietro!»
«Lo sai santo che qui non puoi passare»,
rispose simile ad un oboe tetro,
con la sua schiera pronta ad attaccare,
armata alle grinfie d’acuti uncini.
«Togliti cane non posso aspettare!»
gl’intimò quando furono vicini
Giovanni, già preparato alla lotta.
Ridevano come maligni bambini
sporchi di sangue, malati di gotta,
quei demoni veloci grazie all’ali
lo circondarono in una sola botta,
poi si disposero a cinque puntali
e gridò «Attacco!» il capo, Malacoda,
e i dieci demoni come maiali
grugnirono addosso al santo la proda
delle loro giunture di metallo.
Lesto Giovanni schivava la coda
di ognuno, poi ne spezzava il corallo
come le spine fossero di rosa
e la propaggine stelo. E il mantello
agitò il santo, e in una sola posa
fece poltiglia di carni e ferraglie,
nube materica, un’unica cosa.
Il loro capo, dopo le schermaglie,
di rabbia si rodeva tutti i denti
di fronte a quell’ammasso di frattaglie.
Così portato da furiosi intenti
mi vide debole e in volo inesperto,
e mi colpì coi suoi colpi violenti
per lasciar per lo meno un morto certo.
Poiché Giovanni non riuscì a pararmi
precipitai. Ricordo il mio sconcerto,
le unghie del diavolo forti strapparmi
la pelle, e il vuoto, e infine le emozioni,
e delle mani di melma toccarmi
e affogarmi tal bile nei polmoni.
Ero caduto nel buio Acheronte
e galleggiavo tra spiriti proni
che non ave’ più messo su la fronte;
e affogavo in quel fango disperato
finché mi sollevò un braccio gigante,
così potei di nuovo prender fiato:
era Caronte il gran traghettatore
che mi disse perché mi avea salvato:
«Giovanni da lassù è il tuo protettore
che mi ha ordinato di tirarti su».
Sul bordo della barca posai il cuore
perché non respiravo quasi più,
mentre il vecchio barbuto occhi di fuoco
batteva le anime dei morti in giù,
usando il remo in un feroce giuoco.
Mi berciò in faccia con grande disprezzo:
«Guarda questi uomini marci, da poco,
non avrebbero potuto al lor ribrezzo
metter rimedio prima della fine?
Ora quel loro inutile olezzo
salvo lo vogliono dalle cantine
che Satana arredò per tutti loro!
Ma se si lascia il male in nere brine
dilagare come un mostruoso coro,
dalla guerra dei gemiti e i lamenti
dove se ne scappano ora costoro?
Non si può sempre essere indifferenti»,
mi fulminò con fare paterno.
«Se tutti vanno da questi tormenti,
cosa ti porta a te dritto all’inferno?»
Io non risposi, preso dalla paura,
come se avessi del ferro allo sterno,
e lui capì alla prima congettura
e non si mise ancora a domandare:
«Beh, sarà grazie a te, mite creatura,
se potrò un’altra volta lavorare,
ti condurrò subito all’altra sponda
così potrai il tuo viaggio continuare
oltre la carne di questa umana onda».
Mi sedei solo, sull’aguzza prua,
lontano da quella pancia profonda
dov’era l’altro con la stazza sua,
dov’è senza speranza che si aspetta.
«Lurida feccia alata, ora ogni tua
occasione di fuga è interdetta,
Io ti ricaccerò indietro nel buco
che partorisce prole maledetta,
e striscerai come il più infame bruco!»
Era Giovanni, e ancora combatteva
nel cielo di caverna oscuro muco
che la sua gran condensa non scioglieva.
Di fronte Malacoda, e s’era armato.
Esito incerto il duello prometteva,
ed io temevo per il risultato.

13/07/2007

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