martedì 2 febbraio 2010

Genova 2001

Anch’io vorrei vedere Genova con l’occhio divino del matto. Che raccoglie il sole come una mela matura. E beve l’aria come l’acqua fresca, sopra il piombo del mare che non smette di vociare inconfessabili liquidi inquinanti alla fetida splendida città che dorme come una miserabile, anche nel limpido sangue del giorno. Genova, che fu un luglio la lanterna rossa, e la pancia dello scontro, e la croce cui appesero un vitello dal nome di ragazzo. Ma io devo fingere Genova chiuso nel mio cassetto di angosce. Senza rivolte. Per non cadere nel cerchio continuo del fallimento che si concentra nel fegato della Storia, per non contorcermi nell’impossibilità di sollevare i palazzi sopra il fango, la terra, le fondamenta che hanno costruito gli architetti collusi con il potere. Però posso ascoltare la canzone continua dei topi, perché anch’io sono un miserabile nel mio piccolo buco di mura, e senza aver paura delle propaggini del porto che afferrano navi travestite da ferro come polizia muscolare, perché non caricheranno verso le violenze carnali blu un essere inutile come vento in un barattolo di vetro. Ma forse se aprirai il tappo - Donna che gridando occhi di bandiere rosso-brune sovverti il desiderio di ritornare prigionieri nella cura materna – allora mi libererai dal fiato della solitudine per seguirti nel suicidio della delusione gioiosa. Sei tu Rivolta. E potrò librarmi proprio come un matto, e potrò agitarmi con frenesia di folle arcobaleno con le mani di un uomo e un cervello collettivo di centomila manifestanti. Ma ora, c’è solo la tenaglia del porto. Il metallo degli argani infettati dai morsi della ruggine, il silenzio dei rumori consueti nascosti nelle file di casamenti senz’anima nelle tubature. E il silenzio dei politici, che picchiano il progresso con i manganelli delle loro lingue incapaci e per televisione ammiccano ai casalinghi della reazione. Rimbomba, come una coscienza senza casa quel luglio rosso, quel luglio rosso, QUEL LUGLIO ROSSO, nel quale l’eterna lanterna ha pianto con la discrezione che usano i santi buoni. Anch’io dunque, potessi partire di testa partire per mare vorrei vedere Genova con l’occhio divino del matto, come te, Dino, ma Alimonda è un’immonda verità lucida come uno specchio maledetto senza ferite, che ci ricorda il ritorno della repressione, il ritorno della repressione, il ritorno della repressione, l’orologio del sangue, le lancette d’acciaio, l’omertà del tempo che prosegue impassibile, senza sensi di colpa.

Prosa che ne richiama una di Dino Campana che nel 1908 racconta la sua partenza da Genova diretto in Sud America. Ho scritto la mia pensando alla scandalosa votazione parlamentare che ha impedito nei giorni scorsi la commissione d'inchiesta che avrebbe dovuto far luce sulle responsabilità politiche di ciò che è accaduto a Genova nelle calde giornate del G8, nel luglio del 2001, in cui la polizia ha usato violenza su manifestanti inermi. E, come tutti sanno, nella tragica baraonda è rimasto ucciso un ragazzo, Carlo Giuliani.

01/11/2007

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