
Le notti sono tutte uguali: gli occhi chini dei lampioni, il cervello opaco della luna. Le notti sono tutte nere, come la fortuna. Cieca, dico al barista quando, appoggiato al bancone, storco un sorriso che riflette nebbie umane e illuminazioni artificiali. I miei denti disposti a difesa del tramonto. Il mio naso che disegna la sua umile ombra, nell’utero della notte. Già la notte, sempre uguale. Scorrono una appresso all’altra, le notti, come pagine di pece che rendono la consolazione l’apice del tempo quotidiano. Sul ventre convesso del buio dichiaro agli avventori (e non al barista, cui chiedo di versare un pezzo liquoroso di cielo) che si scivola gioiosamente dalla piazza al letto. Per fermate casuali. Per alienazioni minute. Per squarci di pensieri. Il tempo cerca d’inseguirmi, ma non riesce a starmi dietro. Il suo fallimento è la libertà. Così è la notte: sempre ugualmente disposta ad accogliere gli spiriti liberi. Perciò il mio sorriso diventa insetto. Che vibra le note di Chopin. E s’arrampica sulle facce degli altri. Pollini e parole, tutto si posa e svanisce nel fiore del letto. Il letto è una rosa: chi non dorme si riposa. Io dormo, sogno, navigo, esulto. Così, quando sarà già arrivata la legge dell’alba a far impallidire i lampioni e a smentire i fiochi sillogismi della luna, io potrò dirmi innocente e felice. Il giudice non abita qui. Anche se tutti i mattini non sono uguali. E il tribunale chiama le udienze fuori dal portone. Perché la luce è la toga del sole.
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