
[…] Pensavo alle fitte banlieue che assediano il centrocittà cariche di rabbia dal perimetro dell’Ile-de-France. E bruciano d’amore sì per Parigi, ma come una contraddizione dalla carica rivoluzionaria. Le Troisienne Etat à la revolution! Non avevo finito di riflettere che sulla città era calata la notte, e i lampioni dei Campi Elisi stavano trionfando come una lunga e doppia sfilata artificiale d’etoiles. Guarda guarda Neri, mi disturbò il buon Massimo scuotendomi il braccio, c'est la Ville Lumiere, la Ville Lumiere! Al contrario Roma è ancora tranquilla. A guardarla dal cupolone di San Pietro essa è una florida matrona bianca e nuda. Pontificale carne di retorica. Mosca, vista dall’oblio-oblò dell’aereo che si dispone per atterrare all’aeroporto sud di Domodiedovo, è un’infinita colata di cemento tempestata di cupole d’oro e superbe stelle rosse. San Pietroburgo è l’elegante dama-bianca-dalla-Neva-ghiacciata, che vorrebbe tanto partecipare ai rendez-vous dell’alta società europea. Kiev, dallo smeraldo ortodosso del suo monastero in collina, sopravvissuto ai progetti urbanistici della nomenclatura comunista, è una distesa di grano grigio proprio al centro di una pianura assoluta, metafisica. Berlino, dalla torre della televisione di Alexanderplatz, nel duemila, era ancora una città spezzata in due da una striscia di terra irregolare, la cicatrice inferta dal XXesimo secolo alla grande guerriera Germania. Checkpoint Charlie in pensione non controllava più l’ideologia-ovest da una parte né l’ideologia-est dall’altra, rispettivamente disordinata e ordinatissima di parallelepipedi-palazzi. Firenze è un gioiello di pane azzimo, l’ostia più proporzionata, impreziosita da campanili e cupole di cioccolata che si sciolgono in dolci periferie, fino a dissolversi nel verde raggiante dell’Appennino. C’è Napoli umida, che dal ciglio di Capodimonte si rivela in un ammasso d’umanità innamorata del blu del mare brillante, e per questo lo difende dalle mire non chiare del Vesuvio, sacrificandosi col corpo per tutto lo spazio disponibile della costa fino a capo Sorrento. Barcellona se ne frega del mare. È tutta intenta in se stessa. Le guglie estroverse della Sagrada Famiglia di Gaudì non parlano mai di religione, ma, dinamiche di movimenti astuti e seducenti, celebrano un dio del canto e della danza, che sfocia liquido nelle Ramblas e non si lascia riassorbire se non dopo le sei del mattino. Edimburgo, invece, è cosi diversa. È un forzuto castello battuto dal vento di tramontana che governa i fantasmi celtici, resuscitati dai fumi della birra tra la città vecchia, strega medievale, e la città nuova, prodotto esatto della razionalità settecentesca. La chiamano l’Atene del Nord. Atene quella vera, invece, quella che fu del giusto Pericle, vista dall’Acropoli, è una bianca sudicia e vecchia mignotta degli anni ’60. Mai andata davvero d’accordo con le sue rovine, che vorrebbe nascondere come grinze di vecchiaia mentre accavalla milioni di gambe su se stesse, e sfoggia l’altro seno prosperoso (uno è l’Acropoli): il colle Licabetto con la funicolare in vista. Infine: Venezia, capolavoro insensato dell’uomo che si stanziò nella laguna. Oh, dal campanile di San Marco cos’è Venezia, cos’è dal campanile di San Marco quell’esperta e nobile signora di pizzi luminosi, con la veste a mollo direttamente nell’acqua d’argento! Proprio ora, ora che brancolavo nel buio del buco non so in che pozzo nero non so quanto sotterraneo, se fossi stato sul pinnacolo ingegnoso d’Eiffel avrei potuto scorgere da lassù tutta l’Europa supina! […]
05/06/2008
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